Mi svegliai presto, verso le sette di mattina; era una domenica calda, quasi estiva, ma era ancora il 13 aprile, pasquetta. Di solito, il giorno dopo Pasqua andiamo a fare una passeggiata o un giro in bici, ma quell’anno fu diverso, avevamo deciso, pochi giorni prima, di andare al labirinto di Villa Pisani, a Padova. Dopo poche ore di auto arrivammo alla nostra destinazione; la villa era immensa e il labirinto altrettanto. Dopo aver fatto una visita guidata al complesso decidemmo di avventurarci nel dedalo e dopo circa venti minuti trovammo la strada per il centro del labirinto, arrivati alla destinazione decidemmo di dividerci e vedere chi sarebbe uscito per primo; quando mio padre diede il via, partii per la mia strada; inizialmente mi misi a correre, ma, dopo qualche metro, non ce la feci più: respiravo a malapena, mi mancava l’aria, improvvisamente il labirinto diventò buio, le siepi si alzarono di molti metri, il sole non si vedeva quasi più, provai a chiamare aiuto ma nessuno mi senti. Allora mi feci coraggio, accesi la torcia del mio cellulare e incomincia a camminare; vedevo poco o niente e inciampai più volte, fino a che non sentii una voce. Era strana, sembrava giovane ma allo stesso tempo anziana, aveva uno strano accento, più la sentivo più mi pareva…antica. Al momento non seppi spiegarmelo, ma sembrava che avesse migliaia di anni, nonostante la mia incertezza seguii il suono, fino a che non arrivai in una stanza, era immensa, piena di macchine, alcune grandi, altre piccole. Erano quasi tutte in legno, con qualche ingranaggio di bronzo, solo poche erano in ferro. In fondo si trovava un trono e dietro di esso, sulla parete, era presente un dipinto. A quei tempi non ero un grande esperto di arte, ma ero quasi sicuro che fosse un’opera dell’antica Grecia, seduto sul trono c’era un uomo. Aveva una barba incolta, sarà stato alto un metro e ottanta, indossava una veste che gli arrivava alle caviglie, come calzature aveva dei sandali. Le sue mani erano sporche e rovinate, come quelle di un fabbro, e, dopo aver visto quelle inusuali macchine, non mi stupii più di tanto; tutto a un tratto cominciò a parlare, disse: “Ciao, io sono Dedalo.”. Fortunatamente, qualche giorno prima avevo studiato i miti su Minosse e il Minotauro, quindi sapevo chi fosse quell’uomo, il quale avrebbe dovuto avere circa quattromila anni. Provai a formulare una frase di senso compiuto, ma l’unica che mi usci fu: “Come? ...…tu...Cosa? …”. Dedalo si mise a ridere, il che mi stupì: pensavo che, se si fosse mosso ancora un poco dal suo trono, sarebbe diventato polvere, invece, con mia grande sorpresa, si alzò e mi mise una mano sulla spalla. Incominciò a raccontarmi tutta la sua storia: “Vedi, ragazzo, io sono chiuso in questo labirinto da quattromila anni, se hai studiato bene la storia saprai che il mio mito racconta che sono fuggito da Creta con mio figlio Icaro, il quale, successivamente, è morto…ebbene, non è andata proprio così. Icaro non è mio figlio. Quando, con l’ausilio delle ali, fuggii dal labirinto, volevo vendicarmi a tutti i costi di Minosse, quindi rapii suo figlio, Icaro per l’appunto, gli feci perdere i sensi con una pozione di mia invenzione e lo trasportai di peso lontano da Creta. Dopo che Minosse se ne accorse chiese aiuto a suo padre, Zeus, il quale mi scagliò una saetta contro; io riuscii a schivarla, ma Icaro no, lo colpì in pieno petto, e, a causa della scossa, non riuscii più a tenerlo: precipitò da mille metri di altezza in mare e morì lì. Minosse era infuriato, mandò tutto il suo esercito a cercarmi, ma grazie alle mie invenzioni non mi trovarono mai; Zeus, però, non sopportava di aver fallito e allora, quando morii mi condannò a passare l’eternità dentro un labirinto che si trasferisce dentro altri labirinti. Ogni giorno sono in uno nuovo, per esempio ieri ero in Cina e oggi sono qui, ho provato più volte a fuggire, ma questo…Dedalo... scambia i corridoi con i vicoli ciechi, le curve con i rettilinei e le salite con le discese ogni volta che sono vicino a un’uscita. Ogni tanto qualcuno cade in una delle trappole progettate da Efesto per me, tu sei uno dei pochi che è sopravvissuto più di cinque minuti, quindi mi sembrava doveroso parlarti.” Io ero senza parole, non sapevo che cosa dire, avevo veramente troppe domande, ma Dedalo, come se mi avesse letto nel pensiero, mi chiese se mi sarebbe piaciuto fare un giro, ovviamente risposi di sì e mi portò in una zona con finestre gigantesche, sembrava che fossimo sospesi nel vuoto. Lui toccò un pannello di acciaio e ci trasferimmo a New York, eravamo sopra la città, si vedevano tutte le persone affaccendate che correvano da una parte all’altra, allora Dedalo cominciò a spiegarmi: “Dopo molto tempo rinchiuso qui dentro, sono diventato pratico delle tecnologie del labirinto; ho scoperto questo luogo circa tremilaottocento anni fa e da allora, ogni giorno, vi guardo crescere e apprendere. Ogni tanto rimango deluso perché non siete cambiati molto dai miei tempi, altre volte però sapete stupirmi in modi fantastici. Quando vedo le vostre tecnologie così all’avanguardia provo a replicarle nella mia officina, ma sono talmente complesse che non ci riesco, ogni tanto Zeus mi permette di darvi una piccola spintarella su alcune cose, ma purtroppo a volte sbaglio, per esempio pensavo che l’energia atomica vi avrebbe aiutato a sistemare i vostri problemi con l’inquinamento, ma in realtà ha portato solo morte e distruzione.” Ci fu qualche instante di silenzio, ma dopo poco Dedalo si accorse di qualcosa: “Oh per gli dei, è tardi, devi tornare nel tuo mondo o cominceranno a chiedersi dove sei finito! Presto, presto, prendi questa collana e premi la delta, ti riporterà nel tuo labirinto; è stato bello conoscerti, spero che ci rivedremo, addio!”. Feci appena in tempo a salutarlo che mi ritrovai nel mio mondo, ero per terra, seduto, al di fuori del labirinto, questa volta quello di Villa Pisani; dopo pochi istanti vidi uscire mio papà dalla siepe. Disse: “Bravo, hai vinto la gara”. Mi ero completamente scordato, pensavo di essere stato con Dedalo per ore e ore e, invece, erano passati pochi minuti; mi dispiaceva di non aver potuto passare più tempo con lui, sarebbe stato fantastico, però d’altro canto ero felice di essere tornato dalla mia famiglia: avevo vissuto un’avventura straordinaria e questo mi bastava.
Scritto da Leonardo Montin
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Gennaio 2023
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